Virgilio Patarini, Morte senza resurrezione di un povero cristo
Alla vigilia di Pasqua e dieci giorni prima del Primo Maggio questa mostra dal titolo volutamente provocatorio accosta le vicende della Croce con quelle della vita operaia, anzi: della vita e della morte operaia.
Accanto ad una serie di grandi tele che rivisitano alcune figure del celebre dipinto intitolato “Quarto Stato”, di Pelizza da Volpedo (emblema delle lotte operaie e della coscienza stessa della classe operaia), in chiave sottilmente contemporanea, campeggia una grande installazione che raffigura, simbolicamente, un operaio morto sul lavoro: in un basso parallelepipedo di cemento grigio affondano la maglia i pantaloni e le scarpe di cemento bianco di un povero operaio; attorno a questo cenotafio evocativo delle transenne, anch’esse incrostate di cemento. E di cemento sono fatte anche i fondi delle grandi tele che rappresentano, singolarmente, le figure centrali del celebre dipinto di Pelizza da Volpedo. Ciascun operaio ci appare solo, circondato da nuvole di cemento. Quella che il secolo scorso era una “Fiumana” di cui il singolo operaio si sentiva parte, oramai si è prosciugata. Ognuno è solo nella sua strenua lotta per la sopravvivenza. Perduto ormai ogni senso di comunità, di appartenenza. Il cemento copre ogni cosa. La forza alienante del cemento, correlativo oggettivo dello sfruttamento del lavoro. E dunque il cemento è protagonista: sul cemento si staglia a fatica la figura dell’uomo e di cemento questa figura è fatta, impregnata. Così come è sempre il cemento, materialmente, a fare da base ad una grande croce di cartone ondulato o è il cemento ad incrostare gli abiti o gli strumenti di lavoro appesi. (Guglielmo Nero)
Nota critica di presentazione del focus dedicato all'artista presso lo Spazio E di Milano, venerdì 8 febbraio 2019
"Se consideriamo l’intero corpus della produzione artistica di Virgilio Patarini non può che cogliere un senso di vertigine. Tele dal linguaggio prettamente informale, in una realizzazione che va dal gestuale al segnico e quindi dalla libera espressione alla canalizzazione della stessa in una grafia preordinata, si alternano a collage con immagini sbiadite o pagine di libro. Opere concettuali bidimensionali piatte vengono affiancate da grandi presentazioni con oggetti aggettanti, tanto che a volte abbandonano la parete per realizzarsi in vere e proprie installazioni. Gli acrilici guardano perplessi all’uso del cemento. La definizione più rigorosa lascia spesso spazio alla colatura e alla perdita di ogni linea fissa. Lo sguardo costante verso il passato nella proposta della stilizzazione figurale tipica delle incisioni rupestri della Valle Camonica, dove Virgilio ha i natali, convive con gli “Orizzonti d’attesa”, informali oppure con la presenza di un confusa linea cittadina, uno skyline come direbbero gli anglofili, una adumbratio come direbbero i latini e come preferirebbe anche Virgilio per il riferimento insito nell’etimologia della parola al concetto di “ombra”, rimando a quella indefinibilità che caratterizza i suoi orizzonti.
E’ complicato arrivare a una definizione del suo linguaggio. Tanto più che i suoi riferimenti culturali sono tanto ricchi da dare sempre l’impressione che ci sia sempre qualcosa di nuovo da scoprire ogni volta che si osserva un suo lavoro.
Proveniente da una formazione classica è amante della parola, presente in lavori come quelli dei cicli “Eros e Thanatos” ed “Ex Libris”. “Il Castello di Gutenberg”, un’installazione di cassette per caratteri tipografici che arriva a formare una specie di Torre di Babele, è l’esempio più lampante di questa sua attenzione al linguaggio; ne viene ad essere un’esaltazione e al contempo un’aspirazione; è un atto d’amore nei confronti della cultura e un anelito a una pacifica convivenza malgrado le differenze, linguistiche e non.
Avendo avuto una carriera parallela come attore e regista non mancano mai riferimenti a personaggi del teatro come l’installazione “Sweet Ophelia sleeps”. Forse è proprio l’Amleto l’opera a cui più spesso fa riferimento, in particolare al protagonista stesso dell’opera shakespeariana o alla giovane Ofelia. A quest’ultima sono dedicati anche “I fiori di cemento”, una serie di tele in cui la purezza verginale del fiore viene immortalato con un bagno di grigio cemento. Il dolce personaggio suicida è rimando alla purezza dell’ideale, senza il quale non si può accettare una vita che si declinerebbe unicamente nella privazione. Amleto invece è alter ego diretto dell’artista, della persona Virgilio Patarini, che gioca con la ragione e con la follia, in un’alternanza intellettuale capace di cogliere i sensi più profondi dell’essere (e non essere).
Nel costante successo dell’eterogeneità delle sue opere, nel cui dialogo interno è difficile trovare una maglia debole che faccia sorgere un dubbio sulla completezza dell’artista, ritorna alla mente un’espressione cara ad un suo omonimo di latina memoria: “Audentes fortuna iuvat”. Anche se forse la fortuna non ha avuto un ruolo determinante nella realizzazione di questo complesso labirinto borgesiano in cui l’apparente confusione è semplicemente frutto di una ricca personalità. Virgilio, Publio Virgilio Marone aveva ragione sulla fortuna, come senz’altro aveva ragione quando affermava che “Ogni terra non produce ogni frutta”, ma come in ogni regola esiste l’eccezione, che in questo caso è Virgilio, Virgilio Patarini."
Alessandro Baito
Nota critica di presentazione dell'omonima mostra dedicata all'artista al Cantiere Barche 14 di Vicenza, dal 14 gennaio al 28 febbraio 2018, a cura di Paola Caramel, per G'Art Venezia
Prospera e trascinante è l’esperienza di Patarini come pittore, scrittore, regista teatrale e curatore. Un brillante balenare di proiezioni che l’autore ci restituisce da diverse prospettive – arte visiva, teatro, performance, scrittura – compiutamente comunicanti e contigue.
Se la pittura di Patarini è quasi sempre duplice, la dicotomia non suggerisce divisione rigida né ripetizioni di sorta, ma integrazione istintuale tra le parti. Il ricorso all’astratto e al figurativo assieme è funzionale al racconto singolo/umano dell’artista che tesse la trama di un tessuto personalissimo, straordinariamente teso all’empatia.
Seppur l’approccio alla tela di Patarini sia immediato, e la creazione sia frutto di una profonda trasformazione in atto - percepibile sulla tela addirittura in ogni fase di realizzazione - la sensazione finale è di una materia densa e diffusa, frutto di un movimento scambievole interno/esterno, verticale/orizzontale che cattura il pubblico in una circolarità piena senza inizio né fine.
Come il mondo contemporaneo, sembrerebbe inebetirlo in una corrente convulsa, privandolo di saldi riferimenti, quando l’emersione flebile e sicura delle silhouette di uomini e donne, e di qualche volto sofferto e marcato, riconducono lo spettatore ad una memoria primigenia. Perfino il segno, le ombre delineate da Patarini sono stranamente familiari.
Possiedono qualcosa di antico nel richiamare la comune appartenenza alla comunità Umana.
GIORNI DI FREDDO è un viaggio non finito nella scenario sfaccettato di Patarini, che non si interroga sulla spinta creatrice dell’artista, ma ne testimonia i passaggi inquieti e stratificati, cercando di fotografarne il moto lento e incessante.
Lo spazio fisico della galleria Cantiere Barche 14 di Vicenza schiude al pubblico i lavori di Patarini in un percorso artistico stratificato tra il pulviscolo, le pietre, il cemento, i tessuti e un fiore intrappolato nella tela…
Paola Caramel
VIRGILIO PATARINI (Breno, 1967) è pittore, scrittore, regista teatrale, critico e curatore di mostre d'arte contemporanea. Altrettanto articolata e variegata e la sua formazione: dopo il Liceo Classico e Lettere Classiche a Milano e passato al DAMS di Bologna.
Come autore teatrale tra il 1992 e il 1993 suoi testi sono stati premiati al Premio Ugo Betti, al Premio Vallecorsi e al Premio IDI Autori Nuovi. Ha diretto nell'arco di trent'anni una ventina di spettacoli teatrali allestiti in teatri più o meno underground (Teatro Libero, Teatro Asteria, Teatro della Memoria a Milano), e più spesso in luoghi non convenzionali (Palazzi medioevali, Gallerie d'arte, boschi) a Milano, Ferrara, Piacenza, Venezia, Vicenza, Roma e altre località
Ha inoltre ideato, organizzato e diretto festival come il Russkij Festival I, II e III (Milano), il Ferrara Art Festival (tre edizioni) e diverse rassegne teatrali.
Come curatore ricordiamo la curatela di "Se lection Comparaisons. 88 artisti dal Grand Palais di Parigi" , nel 2012, alla Galleria Zamenhof e a Palazzo Zenobio a Venezia
"Riccardo Licata: opere recentissime". Ha fondato e diretto, insieme a Valentina Carrera, tre gallerie milanesi: l’Atelier Chagall (dal 2003 al 2013), la Galleria Miro (stagione 2005-
2006) e la Galleria Zamenhof (dal 2008 al 2013). Dal 2011 al 2015 e consulente del C.A.M., catalogo d'arte moderna dell'Editoriale Giorgio Mondadori.
Tra i luoghi dove ha esposto come pittore, scultore e autore di installazioni ricordiamo: la Basilica di S.Celso a Milano e la libreria Rizzoli e gli Archivi del ‘900 di Milano, la Rocca Viscontea di Lacchiarella (MI), la Galleria Ariele di Torino, la Galleria Zamenhof, la Galleria del Barcon e l’Atelier Chagall di Milano, il Castello Estense di Ferrara. Nell'ottobre 2010 ha presentato quadri, sculture e installazioni al Chiostro di S.Anna a Ferrara, nella sezione "Arcaico Contemporaneo" della Biennale di Ferrara, dove e stato uno dei quattro curatori.
Ha esposto per cinque anni consecutivi a Parigi, al Grand Palais, al Salon Comparaisons, nella sezione "Installazioni libere" (dal 2010 al 2014).
Nel 2011 la sua nuova mostra personale "Nuovi orizzonti", curata da Valentina Carrera, alla Galleria Zamenhof di Milano. Nel 2012 una sua mostra personale a cura di Izabella Lubiniecka, a Venezia, Palazzo Zenobio, nel prestigioso Padiglione Islanda, sede abituale della Biennale.
Nel 2016 mostra personale a Castel dell'Ovo, Napoli, nell'ambito del Progetto Dramatis Personae. Nel 2017 e 2018 due mostre personali alla Galleria ItinerArte di Venezia. Nel 2018 alla Galleria Cantiere Barche 14 di Vicenza. Nel 2019 una serie di mostre personali alla Vi.P. Gallery in Valcamonica, a Venezia, Galleria ItinerArte, a Roma, Muef Art Gallery e a Milano allo Spazio E.
In permanenza alla Vi.P. Gallery e allo Spazio E