NOTA BIOGRAFICA
Beatrice Palazzetti è nata a Viterbo, vive e lavora a Roma. Pittore, incisore, scultore, ha iniziato la sua attività artistica sotto la guida di Professori dell’Accademia di Belle Arti di Roma. Alla “Scuola libera del Nudo” ha intrapreso lo studio della grafica dedicandosi in particolare alla xilografia, sotto la guida della Prof.ssa A. Kritsotaki. Ha frequentato la Scuola d’Arte ”N. Zabaglia” di Roma, dove ha approfondito le tecniche pittoriche. Inizia nel 1990 in un gruppo al femminile con le prime mostre collettive, per poi proseguire con numerose mostre internazionali e personali, conseguendo numerosi riconoscimenti in diverse manifestazioni. Le sue opere sono presenti presso collezioni e istituzioni italiane ed estere, su cataloghi di prestigio e su diversi siti Internet; è presente nell’archivio incisori del “Gabinetto delle Stampe Antiche e Moderne” del Comune di Bagnacavallo; è membro dell'Associazione nazionale Incisori Italiani di Vigonza (PD) e dell’Associazione Italiana Ex-Libris. Ha collaborato con la musicista C. Maresca in manifestazioni pluriartistiche e con la casa editrice Sovera per la realizzazione della copertina di alcuni libri. Dal 2000, ha reso pubblico il suo percorso artistico ed espressivo anche nell’ambito della poesia e della scultura lavorando con diversi materiali (pietra, legno, metalli e plexiglass). Recentemente si è dedicata anche a piccole opere di fusione.
NOTA CRITICA
Segni e incroci
Il segno è componente fondamentale e imprescindibile dell’essere artista per Beatrice Palazzetti, pittrice, scultrice, illustratrice e anche poetessa che, con queste righe di introduzione ci trasmette il sentimento quasi struggente che la lega al suo lavoro.
Perché, se nella pittura rivela una ricerca informale che la porta a trasferire la sua lirica in forme fluide, quasi metafisiche dove il colore è lieve, sfumato, aereo come la sua poesia, è nell’incisione che trova la sua maggior forza evocativa: nel gesto della mano che muove l’attrezzo, sia esso la sgorbia o il bulino, viene trasferita tutta la tensione dell’anima; nell’attenzione e nella cura a trattare una superficie viva come il legno viene fuori tutta l’abilità della scultrice, quale fosse un mastro artigiano.
E volentieri quindi si immerge in questo mondo di acidi, torchi, metalli e matrici che la rimandano al contatto con il tratto più primitivo e arcaico del suo e del nostro essere.
La sua formazione accademica la porta a sperimentare nell’incisione la ricerca espressa con la pittura. Le prime acqueforti illustrano paesaggi quasi fiabeschi, fiori a volte immaginati a volte netti e decisi, figure che anticipano l’astrattismo dei lavori successivi dove le forme diventano meno definite e si sciolgono in segni che si inseguono sul foglio e che descrivono un mondo onirico, talvolta fluido, talvolta geometricamente astratto nel quale si riconoscono paesaggi lunari e cosmici o boschi e foreste di inquietante solitudine.
Tanto la sua pittura è de-materializzata, tanto questa materia viene fuori nelle sue xilografie dove la conformazione del legno, elemento trattato con estremo rispetto, con devozione quasi, entra da protagonista nell’opera. Palazzettiinfatti lo rende vivo e pulsante lasciando che la sua struttura e le sue venature interagiscano con il gesto; che i segni originali della matrice si sovrappongano ai suoi segni in una complementarità costante tra l’opera della natura e quella dell’artista.
In questi lavori ella riesce a creare quello stato della coscienza che è il non essere del sogno, anche grazie alla quasi totale assenza del colore, dove dal suo buio emergono originali conchiglie che inglobano filamenti di materia primaria, figure sinuose che sembrano dibattersi in un brodo primordiale, trame quasi tessili che anelano ad una luce lontana e salvifica. E tutto ciò, grazie alla grande sensibilità dell’artista, non è per nulla angosciante, ma rimanda alla lieve poesia della vita.