NOTA BIOGRAFICA
Note biografiche: è nato in Francia nel 1959 dove lavora ma ha un atelier anche in Italia a Pavia d Udine.
E’ Medico chirurgo, in realtà si sente soprattutto pittore e scultore.
E’ autodidatta e si è dedicato al disegno, alla pittura e alla scultura fin da ragazzo, ma solo nel 2006 ha deciso di presentare le sue opere al pubblico partecipando a
mostre personali e collettive, sia in Italia che all’estero, riportando numerosi apprezzamenti e riconoscimenti sia dal pubblico sia dalla critica specializzata.
NOTA CRITICA
Non c’è dubbio che se Michael Vallayer crea delle curve è perché sa che tutto è cominciato così. Per lui, il cerchio contiene la fertilità del possibile, la poesia matematica che gli permette di creare liberamente. Perché il cerchio non risolve nulla; non fa domande: agisce. Ed è questo che gli piace. Sembra che in natura, nulla sia perfettamente rotondo, senza offesa per i fan dei nautilus, quelle conchiglie la cui forma sposa la spirale di Archimede. Sembra quindi che l’uomo, sempre bramoso di avvicinarsi alla perfezione, abbia inventato l’elisse. Questo di per sé non ha alcuna importanza. Tranne che nell’arte come nella matematica, dove tutto si basa sul lavoro dello spirito, la cui finalità è simile: non concepire una cosa in sé, ma una cosa per sé. Per noi. Gli altri.
I suoi quadri, tutti quadrati, sono tracciati geometricamente. Circonferenze e cerchi sono disegnati sfruttando un difficile equilibrio per costruire una solida base. Si tratta di forme obbligate, che di volta in volta diventano più rigorose. Sono composizioni dalle quali si può espandere fino all’infinito. È questo il vantaggio del cerchio.
Sì. Ma per fare cosa? Questo tecnico non si cura della tecnica se non gli consente di interpretare e poi di ricreare il mondo. E il mondo di Michel Vallayer non sono i paesaggi. Ha dipinto, è vero, alcune nature morte. Ma, come in tutti le altre opere, è l’impronta dell’uomo che traspare. Quella di oggi. Ma anche quella di ieri. Perché gli piace questa parola: “trasmissione”. E in maniera paradossale.
Se, in effetti, si considera “un creatore di immagini”, e se queste immagini sono per lui più importanti della bellezza intrinseca del dipinto, forse ignora se le crea per se stesso o per gli altri. Egli ha dei dubbi. Ma si dice sicuro di non poter dipingere che per sé stesso. Vorrebbe non mettersi a nudo, dare spiegazioni, dire che il suo lavoro parla di lui. E per lui solo? Ha cambiato idea: “No, questo atteggiamento non è coerente con quello che penso dell’arte”. Con quello che non crea più.
Dipinge le sue tele a olio. Certo: è la tecnica quella che conosce meglio, quella che forza la sua creatività.
Su questo non c’è dubbio. E gli effetti di trasparenza che ne derivano lo legano a una tradizione pittorica di cui si sente l’erede. Quella di un Van Gogh che ha innescato in Michel l’amore per la pittura, o quella di Renoir per la sua delicatezza, di Ingres, di Picasso, Lhote, Delaunay o di Caravaggio ... pittori dalla tecnica così favolosa da renderne difficile la comprensione. È a loro che vorrebbe adattarsi, scommettendo sulla coerenza del proprio stile, per farsi riconoscere ma restando loro riconoscente. È così, che da qualche tempo, va verso una semplificazione estrema, la cui apparente facilità si base su di un grande lavoro di progettazione.
Utilizza spesso anche la proporzione aurea nella progressione delle sue sfere alle quali aggiunge effetti sfumati che rendono le opere più belle. Questo gli permette di arrivare, per tappe successive, a mostrare quello che in lui c’è di più intimo, di dominare il rigore mettendolo al servizio del non-detto. È così che in lui trovano equilibrio la parte scientifica e quella umanistica. Diciamo semplicemente l’artista. E in quanto tale, egli è all’ascolto di tutto ciò che vibra intorno a lui.
I cerchi, che sono i suoi strumenti, sono soltanto le note di una musica esigente e la minima deformazione delle loro curve potrebbe generare delle note false.
Ma Michel Vallayer vorrebbe dipingere come Mozart ... vorrebbe che suoi dipinti potessero colpire coloro che li guardano dove sarebbero sorpresi di essere colpiti. Fuori dal cosciente. Com’è naturale.
Ha fatto sua la frase di Bobichon: “Io dipingo delle immagini, non delle idee”. Oppure quella di Cézanne: “La tecnica è la morale del dipinto”.Questa gli assomiglia. Bisognerebe aggiungere l’armonia dei colori, che improvvisano sulla tela degli spazi danzanti. Da colorista innato lavora i particolari con più tenacia di chi lavora di cesello, con pazienza, i tratti spessi e sottili di luce.
Certo, non vi è alcun dubbio. Michel Vallayer lavora con geometria. Ma egli è soprattutto una equazione con diverse incognite, che potrebbe essere risolto in una sola frase, quella del britannico G.H. Hardy: “Non c’è posto di rilievo nel mondo per la brutta matematica”.
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