NOTA CRITICA
“La luna calpestata” testo di FRANCO BASILE / 1998
Le metafore della realtà di Ivo Stazio traggono origine da un insopprimibile desiderio di fuga dall’immediato. Scorre quindi il dettato visivo di una mescolanza di razionalità e passione, il sentimento alberga dietro la pellicola che riporta volontà e conoscenza mentre il segno cerca di rivelare ciò che l’occhio non può contemplare, ma che immagina. Una chiesa sul colle è un tocco carminio sovrastato da lembi di verde rame, il mare, con le sue profondità di silenzio, è una lastra spatolata di blu e di bianchi schiumosi, i campi sono un tabulato dove il chiaro e lo scuro dialogano con il profilo degli alberi; e il tempo, con le albe e i tramonti, è un trapasso di velature rosate e di note vermiglie, fino all’ovatta del crepuscolo che si sfilaccia via via, oltre l’ambito del distinto per consumarsi nel panno scuro della notte.
C’è in Stazio un’attrazione duplice: la vita nel suo fluire e nell’esistere oggettivamente con tutte le sue componenti di luci e di incanti sempre nuovi, e dall’altra parte la necessità di ridurre tutto ciò a immagini autonome, a un raccordo tra rigore e sintesi formale che si fa esito di una metamorfosi interiorizzata della dimensione. Così pensando, è come osservare il mondo rimanendo appostati nel sogno e sfiorare, per quanto è concesso alla condizione umana, il senso dell’indefinito. Questi giorni sempre uguali eppure così mutevoli nella diversità segnata dalle regole della natura, questa luce che prende i colori sottoscritti dal tempo, questi tratti d’esistenza assiepati come un sorriso che s’accende e si spegne nel passaggio delle ore. L’artista assiste allo svolgimento della vita come uno specialista della vertigine. E come Braque, ama interpretare la realtà in modo allusivo fino a far passare se stesso nell’immagine, fino a rimanerne stordito. Non ha bisogno di correre lontano per riunire attorno a sé gli elementi necessari al componimento pittorico. Costruite per macchie ora vaporose, ora dense di umori trasgressivi, o velate nello spazio della suggestione, le immagini sono per lo più la trascrizione di visioni dove predomina l’elemento naturale.
…”Tutto è fuori di noi” diceva Nicolas de Stael. E ancora “ lo spazio della pittura è un muro, ma tutti gli uccelli del mondo vi volano liberamente. A tutte le profondità”. Elementi che nascono nel territorio della suggestione, i colori si associano a masse in veloce movimento, in assoluta libertà, nella determinazione simbolica del reale, ma anche dell’irrazionale senza costruzioni che inducano l’artista all’obbligo delle corsie formali o astratte. Complessa, nella sua apparente immediatezza e semplicità, la scrittura di Stazio condensa enunciati volutamente contraddittori, voci attraverso le quali egli intende rapportarsi alla verità, che è sempre complessa. …L’accenno a De Stael non è casuale, proprio per la dilazione allusiva delle accensioni, per la presunta ambiguità di un linguaggio che sfuma nell’indefinito…è sotto l’impero della luce che vede e giudica la realtà delle cose. È attraverso la luce che l’artista vede i colori delle cose, il modo in cui si fanno più intensi o più lievi, il modo in cui si modificano e si trasformano da un tono all’altro.
Fedele a un fare antico, Stazio è una specie di transfuga dell’era pokerista e comportamentale. Ama indugiare ai margini del tempo per trascrivere in chiave lirica la nuvola di mistero che ai suo occhi ammanta le cose. Osserva una collina oltre la quale immagina l’arcano, tratta le visioni d’autunno con la confidenza di conosce la bruma, incornicia la notte dietro la finestra anche se la luna non gli sembra più la stessa dopo che le hanno tolto un po’ di mistero. Ci hanno camminato sopra, l’hanno calpestata.
L’uomo vuole andare sempre più lontano, forse vuole sfuggire a se stesso, al sogno che lo impaurisce, cavalcando macchine bizzarre ma concrete come i computer.
Stazio non ha paura del sogno, simile ad un rabdomante delle emozioni cerca i punti che danno accesso alle cose. Con la spatola accarezza il mondo e immagina di trovarsi alle soglie di un eden perduto, soffia sulla vita e i grani della polvere condensano nuove realtà. Non ha importanza se la luna non è più la stessa, basta un’ombra per alimentare il ricordo e ritrovare, forse, parte di ciò che s’è perso.