Giuseppe Orsenigo è nato a Cantù (Co) nel 1948. Diplomatosi Maestro d’Arte sino al 2001 si è rifiutato di esporre le sue opere. In “trent’anni di segreto lavoro”, come scrive il noto critico Morando Morandini, ha “affinato il suo stile pittorico”. Ha esposto le sue opere in numerose personali, tra cui una retrospettiva a lui dedicata allo “Spazio Guicciardini” di Milano, Aosta, di nuovo Milano al Nuovo Spazio Aleph e alla Galleria Zamenhof, Venezia Palazzo Zenobio, Torino Galleria 20, Como, Porto Venere, La Thuile, Saint-Vincent, Figino, Cantù, Mariano, Vertemate, Menaggio. Diverse anche le collettive tra cui Parigi, New York, Nimes, Innsbruck, Ferrara, Lecce Di lui hanno scritto: Laura e Morando Morandini, G. Pre. F. De Faveri,G. Possa,A. Masseglia, G. Vicentini, C. Cattaneo, V. Colpi, L. Morandotti, D. Corsetti, V. Patarini, P. Levi, A. Longatti. Le sue opere sono pubblicate nel volume “Post-Avanguardia”, Editoriale Giorgio Mondadori (2010), e si trovano in numerose gallerie e in collezioni private.
Note critiche
Un maestro d’arte dagli scenari fantastici
Giuseppe Orsenigo, a mio avviso, possiede una tavolozza ricca e modulata, una capacità gestuale fluida e sicura, un segno che spesso intravede una visione,che subito si scompone nelle suggestioni di un colore che vive di sè, delle sue infinite possibilità evocative e rappresentative. Ci sono intrecci, d’incantesimi e magie,nelle sue composizioni: apparizioni provenienti da una miscela di concreto e di astratto, da movenze d’onde e ritmi, da incastri cromatici e da forme aeree che paiono volare nel vento e dissolversi in architetture labirintiche, sfumate da traiettorie indescenti.
Egli, in certi casi, usa il collage per aggiungere una certa corposità fisica al quadro, come contrappunto alle impalpabili campiture colorate. Si tratta dell’aggiunta di pezzi di cuoio, vetro, frammenti di metalli vari, integrati con colle nel resto dell’opera, che riproducono un effetto straniante tra forme e figurazioni non sempre individuabili. A volte il suo mondo, pieno di tinte vivaci, ricorda scenari fantastici e surreali che lasciano ampio spazio di riflessione all’immaginazione dei fruitori. Un universo il suo che, soprattutto, non chiude alla speranza, anzi offre gioia e serentità, sensazioni visive ed emozionali, che affiorano dalla profondità dell’inconscio. Proprio com’è nell’intenzione di Giuseppe Orsenigo, singolare artista di immagini, mentre compone i suoi capolavori, nell’introspezione del suo studio-laboratorio
Giuseppe Possa
Il Senso della vita
Nelle tavole dipinte, o meglio “manipolate” da Giuseppe Orsenigo, la caratteristica principale è l’accumulo di significati. Una pluralità che va di pari passo con la variabile disseminazione di segni, immagini, figure mescolati in magma che trova proprio nella complessità la sua giustificazione operativa. Per produrre questo effetto di spessore l’artista adotta una tecnica particolare, con materiali diversi magistralmente amalgamati, talora rappresi talaltra distesi, colati, sovrapposti in una sostanza dalla tattile modellazione. E tale elaborato sistema operativo finisce per apparire come una sorta di umore apparentemente liquido, ma in verità solidissimo, dove qualcosa di vivo è stato imprigionato. Lo si può anche definire una sorta di acquario pietrificato nel quale oggetti almeno in parte riconoscibili, estratti dalle apparenze quotidiane, sono mescolati con forme astratte, ectoplasmi misteriosi, fantasmi della memoria, riferimenti onirici.
I titoli delle opere (dipinti o bassorilievi?) non descrivono i contenuti ma vi accennano soltanto, almeno per quanto riguarda il percorso concettuale, che poi ha una definizione incerta perché subisce inevitabilmente le variazioni imposte dal tormentato procedimento operativo. Avendo come costante l’intimo confronto con se stessi rappresentato dai fori dove è celata una superficie specchiante. L’incertezza, l’ambiguità dei significati non sono fuorvianti, ma generano un seguito di suggestioni che costituiscono proprio la principale connotazione della ricerca di Orsenigo. Un lavoro che attualmente, come dimostrano le opere raccolte in questa mostra, sta attraversando una nuova, interessante fase di semplificazione, o meglio di aggregazione descrittiva che suggerisce un più ampio campo d’ispirazione, tematiche contigue alle provocazioni visive di marca surrealista. Sembrano infatti ricollegarsi a quelle esperienze storiche le composizioni dove le eccedenze materiche si attenuano per isolare spazi vuoti, fondali monocromi in cui galleggiano pochi elementi figurativi dalle evidenti allusioni astrali.
Si direbbe che l’artista, dopo tante calate nei recessi della coscienza individuale, voglia interrogarsi sul cammino di ognuno e quindi saggiare panorami più vasti di quelli introspettivi, porre in campo simboli di valore universale pur senza abbandonare i richiami alla natura. Pulsioni esistenziali, sempre, non astrazioni intellettualistiche. Lo provano gli interessanti dipinti della serie “L’albero della vita” che come metafora visiva non fanno riferimento ai rami arricciolati della celebre tavola klimtiana sullo stesso soggetto ma rappresentano tronchi solidamente ancorati al suolo e da esso proiettati verso l’alto. Agli aggraziati intenti decorativi del maestro viennese si preferisce l’appello ad una realtà robusta, di schietta sostanza umana. Per riflettere sul destino comune ad operatore e riguardante, a chi comunica il proprio pensiero ed a chi lo riceve, disponibile a farlo proprio.
Alberto Longatti