ZAMENHOF ART

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SEDI ESPOSITIVE PERMANENTI:

Vi.P. Gallery

Valcamonica

Virgilio Patarini

Arte Contemporanea

via Nazionale, 35,

25050 Niardo (BS)  

Aperta  venerdì, sabato e domenica h16,30-19,30 (salvo eventi o mostre particolari) Altri giorni e orari su appuntamento. Ingresso Libero. 

Cell. 3392939712; 

E-mail: galleria.zamenhof@gmail.com

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Galleria ItinerArte - Vi.P. Gallery Venezia

Rio Terà della Carità -1046 Dorsoduro  - VENEZIA

(dal 1 settembre 2021)

Per orari apertura vedi spazio dedicato. Ingresso Libero. Cell. 3392939712; E-mail: galleria.zamenhof@gmail.com

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Museo di Nadro - Area 42 - Riserva Naturale Incisioni Rupestri di Ceto, Cimbergo e Paspardp (BS)

DAL 6 SETTEMBRE 2021 in collaborazione con ArchExperience

Spazi espositivi a Nadro (Ceto) in via Piana 29 e in via Piana 42-

Aperto tutti i giorni dalle 9 alle 16 (orario invernale: fino alle 17 in estate) - dal 20 dicembre al 20 febbraio: tutti i giorni dalle 10 alle 14- sabato e domenica fino alle 16

tel 0364 433465

Vi.P. Gallery

Milano  Virgilio Patarini

Arte Contemporanea

Alzaia Naviglio Grande, 4  MILANO

CHIUSA DAL 1 SETTEMBRE 2021 Cell. 3392939712; E-mail: galleria.zamenhof@gmail.com

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IL NET-WORK

GALLERIE E SPAZI con cui ZAMENHOF ART e VI.P. GALLERY collaborano stabilmente

MUEF Art Gallery

via Angelo Poliziano, 78b - ROMA

Direzione artistica: Francesco Giulio Farachi, in collaborazione con Roberta Sole

E inoltre:

Museo CaMus di Breno (BS) 

Museo Le Fudine di Malegno (BS) 

Torre Medievale di Cividate Camuno (BS)

e altre realtà in Valcamonica

(vedi pagina dedicata alla Biennale della Valcamonica)

ZAMENHOF ART in 3 punti e poche parole

 

1. Dal 1998 ad oggi Zamenhof Art ha organizzato oltre 400 mostre a Milano, Roma, Napoli, Torino, Venezia,  Ferrara, Piacenza, Lecce e in tutta Italia e realizzato circa 150 cataloghi d'arte, una decina dei quali con l'Editoriale Giorgio Mondadori.

2. Gli spazi gestiti in permanenza, dal 1998 ad oggi, a Milano, sono stati : la Basilica di S. Celso (1999-2002), l'Atelier Chagall (2003-2013), la Galleria Mirò (2005/2006), la Galleria Zamenhof (2008-2013), lo Spazio E (dal 2013). A Torino: la Galleria20 (2013/2014). A Ferrara, 2015-2016 la Camel Home Gallery. 

3. Tra gli spazi più prestigiosi che hanno ospitato mostre e progetti Zamenhof Art, nel corso degli anni, ricordiamo: Castel dell'Ovo a Napoli (2016), Palazzo Racchetta a Ferrara (2010-2015), Palazzo Zenobio a Venezia (2012), Castello di Carlo V a Lecce (2010, 2011, 2012), Castello Estense di Ferrara (2010), Pinacoteca Civica e Palazzina Liberty di Imperia (2009), Castello Malaspina di Massa (2010), Palazzo Guidobono a Tortona (2012)

 

Pur avendo talvolta (raramente) realizzato mostre o cataloghi di artisti storici o storicizzati (come ad esempio Mario Schifano o Riccardo Licata), l'attività di Zamenhof Art è rivolta principalmente alla promozione di artisti giovani o comunque emergenti, out-siders, selezionati sulla base della qualità e dell'originalità, senza nessuna indulgenza a fenomeni di moda, a ragioni di censo o a clientelismi: artisti che siano capaci di coniugare perizia di esecuzione tecnica e freschezza di idee, tradizione e avanguardia, radici culturali e originalità.

 

UN'IDEA DI ARTE CONTEMPORANEA CHIAMATA "ZAMENHOF ART"

 

" Il tempo delle Avanguardie è finito. Si è aperto con l’Impressionismo e si è chiuso con la Transavanguardia. Per oltre un secolo ogni nuova generazione di artisti ha cercato di smarcarsi dalla generazione precedente proponendo una nuova, differente idea di arte contemporanea. Ora tutto questo sembra non funzionare più. Il meccanismo pare inceppato. A partire dal discorso generazionale.

Il progetto espositivo ed editoriale che da anni risponde al nome di “Zamenhof Art” mette in luce proprio ciò, presentando, di volta in volta, in contesti diversi e con diversi abbinamenti e articolazioni, una nuova ‘generazione’ di artisti che anzichè inseguire il nuovo a tutti i costi, rinnegando il lascito delle generazioni precedenti, cerca piuttosto di definire un linguaggio comune per l’arte contemporanea, una sorta di “koinè”, facendo tesoro delle ‘invenzioni’ delle Avanguardie, attraverso un paziente, complesso, raffinato processo di sintesi e contaminazioni.

E una prova lampante che un certo ‘meccanismo’ sia saltato balena agli occhi di tutti se si sofferma l’attenzione, senza pregiudizi ideologici, su di un fatto concreto, tangibile, facilmente riscontrabile: da molti anni ormai si è annullato un qualsiasi significativo ‘scarto generazionale’. Non a caso nel selezionare opere e artisti per questo progetto che in definitiva mira a definire al meglio che cosa si intenda per ‘Post-Avanguardia’ si è dovuto sempre necessariamente prescindere da vincoli generazionali. 

Per la prima volta, da oltre un secolo a questa parte, artisti di tre generazioni differenti stanno uno accanto all’altro e parlano (più o meno) la stessa lingua. E ad ascoltarla con attenzione ci suona come una lingua nuova e antica allo stesso tempo: inaudita eppure riconoscibile. Originale ma decifrabile". (V.P.)

Paolo Facchinetti

Paolo Facchinetti nasce nel 1953 a Nembro (BG), dove oggi vive e lavora. Inizia la sua formazione artistica all’Accademia Carrara di Belle Arti a Bergamo frequentando i corsi di disegno e di nudo sotto la guida del Prof. Mino Marra. Anche il maestro Cesare Benaglia ebbe una forte importanza nella crescita di Paolo, infatti frequentò il suo studio e il Gruppo Artistico Valbrembo 77 dal 1985 al 1989. Fin dagli inizi la sua arte è caratterizzata da un forte dualismo. L’astrattismo e la ricerca cromatico-formale convivono con la ritrattistica e la capacità di cogliere l’essenza del soggetto. Il movimento fisico-gestuale dell’attimo in cui il colore si deposita sulla tela è riconoscibile sempre e spesso è parte fondamentale dell’opera. Dal 1972 Paolo Facchinetti espone le sue opere in numerose mostre personali, collettive e partecipa a rassegne d’Arte nazionali e internazionali. Nel 1990 e nel 1992, su richiesta delle Arti Grafiche Ricordi e di Edizioni Del Cappello (Milano), esegue opere su carta poi serigrafate e numerate. È stato invitato al progetto itinerante 13x17, a cura di Philippe Daverio e Jean Blanchaert, che è stato presentato tra il 2006 e 2007 presso la Chiesa di Santa Cristina a Bologna, Studio Mic di Roma, Berengo Studio di Murano (VE), Teatro Nuovo Montevergini a Palermo, Museo Michetti di Francavilla al Mare (CH), Museo Provinciale di Potenza, Politecnico di Milano e Chiesa di San Severo al Pendino di Napoli. La sua attività artistica lambisce anche territori poco frequentati da un artista, succede ad esempio nel 2007, quando è chiamato a realizzare la copertina dell’album Requiem per il gruppo italiano Verdena. Nel 2008 è uno dei due artisti italiani selezionati alla “Biennale del Disegno” di Pilsen - Repubblica Ceca. La casa editrice Aufbau Verlag, di Berlino, pubblicherà su  “Aufbau Literatur Kalender 2013” e “Aufbau Literatur Wochenplaner 2013”, il ritratto di John Fante, un’opera tratta dal  progetto  Autobiografie: una serie di 40 ritratti che tra il 2006 e il 2007, sono stati esposti in molte località tra cui il Centro Culturale L’Orto degli Angeli di Biella, la Galleria Florilegio di Leno (BS) e il Collegio Raffaello di Urbino che ha coronato la mostra con un catalogo edito da Libri Aparte con testi di Viola Giacometti e Sara Mazzocchi. Dal 2012 collabora con Zamenhof Art. Espone in prestigiosi spazi museali in tutta Italia, come Palazzo Zenobio a Venezia, il Castello di Carlo V a Lecce, Palazzo della Racchetta a Ferrara, Rocca Viscontea a Lacchiarella (MI) e Galleria 20 a Torino ed altri ancora. Nel 2012 esce il volume monografico “Paolo Facchinetti” inserito nella collana Cataloghi d’Arte della Editoriale Giorgio Mondadori con testi di Dalmazio Ambrosioni e Virgilio Patarini.  Hanno scritto di lui: Antonia Abbattista Finochiaro, Dalmazio Ambrosioni, Paolo Anesa, Vitaliano Angelini, Alberto Belotti, Audelio Carrara, Elisabetta Castellari, Anna Facchinetti, Franchino Falsecchi, Jacopo Finazzi, Guido Folco, Viola Giacometti, Lino Lazzari, Sara Mazzocchi, Barbara Mazzoleni, Pietro Mosca, Fernando Noris, Virgilio Patarini, Dina Pierallini, Attilio Pizzigoni, Roberto Ronca, Mario Rondi, Roberto Vitali, Cinzia Zanetti, Antonella Zappa.

Tra le mostre più recenti ricordiamo:  nel 2014 “La via italiana all’informale: ultime tendenze alla Galleria 20 di Torino ; nel  2013 - Koiné 2013 - Galleria 20 – Torino; La via italiana all’informale: ultime tendenze - Rocca Viscontea - Lacchiarella (MI); Libro d’Artista - Centro Culturale Giovanni Testori - Vertova (BG); Dramatis Personae - Il volto e la figura nell’arte italiana contemporanea - Galleria 20 – Torino; Human Rights?#Migrantes - L’immigrazione e l’accoglienza - Fondazione Opera Campana dei Caduti,  Rovereto (TN); Start up 20 - 20 artisti per la Galleria 20 - Galleria 20 – Torino; Mantova ARTquake 2013 - Casa del Mantegna – Mantova; Human Rights? 2013 - Ex Convento dei Francescani Neri - Specchia (LE); Libro d’Artista - Ex Ateneo in Città Alta – Bergamo; Dramatis Personae - Il volto e la figura nell’arte italiana contemporanea - Palazzo della Racchetta – Ferrara; Seven - Lussuria - Ex Convento dei Francescani Neri - Specchia (LE); Orizzonti di Luce - A. Boldrini, P. Facchinetti, V. Patarini - Atelier Chagall – Milano;

 Aniconica - Merlino Bottega d’Arte – Firenze; Koiné - Palazzo della Racchetta – Ferrara; Game Over The Top - Galleria Zamenhof - Milano ; Step09 Art Fair Milano 2013 - Fabbrica del Vapore – Milano; Koiné - Galleria Zamenhof – Milano; La via italiana all’informale: ultime tendenze - Palazzo della Racchetta – Ferrara. Nel 2012 le personali al MAMEC - Museo d’Arte Moderna e Contemporanea - Cerreto Laziale (RM); e Di luce e d’ombra alla Galleria Zamenhof – Milano; Bergamo Arte Fiera; nel  2011 - Seven - Superbia - Museo ARCOS – Benevento; Orizzonti in attesa - Castello di Carlo V – Lecce.

 

Nota critica: Di luce e d’ombra

 

I - Oscillazioni

Da sempre la pittura di Facchinetti oscilla vertiginosamente tra una figurazione sottilmente raffinata e un’astrazione informale energica e gestuale, tra vaghi richiami a Francis Bacon o a Giacometti e consapevoli riferimenti a Franz Kline, Emilio Vedova, Hans Hartung. Senza che mai i due fronti si confondano. Senza che mai i due universi paralleli si incontrino.

La pittura figurativa dell’artista bergamasco sembrerebbe aver poco a che fare con il suo Informale. Anzi, a tratti le due modalità espressive paiono decisamente antitetiche. Tanto è sapiente e controllato il disegno nei ritratti, quanto appare violento ed emotivo il gesto nei quadri astratti. Un colore sfumato ed “atmosferico” steso con morbide velature a pennello o con tenui tocchi di pastello nei ritratti si contrappone a sciabolate di colori accesi e primari impresse selvaggiamente sulla tela a colpi di spatola negli astratti informali.

Su entrambi i fronti l’artista appare sicuro del fatto suo, coerente, riconoscibile. Su entrambi i fronti si può individuare e definire negli anni un percorso, un’evoluzione: la maturazione di uno stile. Anzi di due. Paolo Facchinetti uno e due. Facchinetti come Giano Bifronte.

E questo costringerebbe (e di fatto ha costretto, in passato) ad un discorso critico ancipite. Anzi, ancora meglio, a due discorsi critici nettamente separati, dove al limite mettere in risalto proprio il rapporto antitetico e parallelo delle due linee espressive. Come una tesi ed una antitesi che non trovino mai un momento di sintesi.

Ma ad un certo punto qualcosa cambia e i due universi paralleli, come sottoposti ad una forza irrefrenabile di attrazione, di contrazione cosmica, sembrano avvicinarsi.

O almeno sembrano rispondere ad analoghe leggi.

 

II – Sottrazione e invenzione

Tra il 2010 e il 2011 l’arte di Paolo Facchinetti trova accenti di grande ed efficace sintesi formale. Su entrambe le frontiere il suo processo creativo subisce, al tempo stesso, una concentrazione estrema e un’impennata, un guizzo, un’alzata d’ingegno.

La sintesi, la contrazione coincide con una duplice riduzione al minimo dei mezzi espressivi: una riduzione del colore praticamente al solo nero e dell’azione pittorica ad un unico gesto reiterato: il “graffiare” negli astratti e il “timbrare” nei figurativi. Il rigore è assoluto. Maniacale nella ripetizione del gesto e monacale nella rinuncia alla consueta vibrante gamma cromatica. Per molte opere e per molto tempo il solo nero domina sovrano, despota incontrastato, anche se poi la policromia irrompe di nuovo prepotentemente, specie negli astratti, mentre nei figurativi ad un certo punto il colore torna a balenare a macchie, macchie che in definitiva non fanno che esaltare, per contrasto, il bianco e nero di base.

E su entrambi i fronti creativi si manifesta improvvisa e spiazzante un’invenzione, una trovata tecnica che si risolve in svolta stilistica: sul versante figurativo Facchinetti rinuncia al pennello o alle matite e comincia a dipingere e disegnare i suoi ritratti o le sue vanitas col puro ausilio di timbri intinti nel colore nero. In campo astratto la tecnica escogitata è altrettanto nuova e suggestiva, ma più stratificata: fotografie o immagini, rielaborate al computer, di fasci di luce e di ombre vengono stampate su lastre di metallo e poi coperte di colore nero a olio che viene quindi graffiato via a strisce orizzontali o verticali, lasciando affiorare da sotto le luci e le ombre e il bagliore del metallo.

In entrambi i casi, con due artifici differenti ma altrettanto efficaci, si ottiene il medesimo effetto paradossale: ovvero di dare profondità a quadri dove la bidimensionalità viene esaltata al massimo delle sue possibilità dalla monocromia e dalla reiterazione del gesto sulla superficie.

Nel caso dei ritratti e delle vanitates l’effetto di suggestione tridimensionale viene raggiunto con la sapiente alternanza di timbri di diverse misure e con una maggiore o minore pressione degli stessi sulla tela. Nei casi delle opere astratte sono le ombre e le luci delle foto stampate sottostanti che affiorando danno un’illusione di profondità e di piani sovrapposti.

 

III – Cortocircuito

In ogni caso, per la prima volta, anche se per un numero limitato di opere, i quadri astratti e quelli figurativi rivelano alcuni punti in comune (il nero, la reiterazione del gesto, l’invenzione di una tecnica nuova) e in definitiva la stessa necessità soggiacente, la stessa urgenza, la stessa tensione espressiva che si fa metodo di approccio e sistema: ovvero una volontà feroce di riduzione ai minimi termini degli strumenti espressivi (un solo colore, un solo gesto ripetuto) e l’uso paradossale di una costruzione paratattica per dare vita ad una narrazione tendenzialmente sintattica. E così segni uguali, ripetuti, accostati l’uno all’altro e bidimensionali si compongono in modo da apparire differenti, strutturati gerarchicamente e tridimensionali.

E in quest’ultimo aspetto Facchinetti rivela il suo essere al tempo stesso antico e contemporaneo. Come artista contemporaneo egli usa la paratassi come struttura portante delle sue opere, ma la sua nostalgia per la forza evocativa della sintassi (e della “narrazione”) è evidente e gli fa piegare la paratassi verso confini inediti e inusuali, sottilmente spiazzanti, volutamente contraddittori. Egli fa pittura astratta-informale-gestuale usando mezzi meno convenzionali: forzando mezzi meno convenzionali come la rielaborazione di immagini al computer e la stampa su metallo, mezzi presi in prestito dalla computer-art e dalla fotografia, a scopi “convenzionali”. Lo stesso con l’uso dei timbri per fare ritratti: uno strumento adatto piuttosto ad un’arte seriale o d’ispirazione minimal viene utilizzato “impropriamente” per fare una pittura figurativa sostanzialmente classicheggiante.

Quello che si genera così è una sorta di cortocircuito tra il mezzo espressivo e l’opera espressa. Una contraddizione che diviene rivelazione, perché nasce da una duplice necessità: da una parte la necessità di essere contemporanei, di usare mezzi e linguaggi e schemi espressivi della contemporaneità; dall’altra l’impossibilità a rinunciare ad una sorta di narrazione d’impianto classicheggiante. Anche nel fare pittura astratta. Infatti la creazione di piani sovrapposti, l’illusione di profondità nelle opere astratte di Facchinetti risponde ad una necessità di strutturare il quadro a fini evocativi, allusivi e quindi, in qualche misura, potenzialmente “narrativi”: un primo piano e uno sfondo, il balenare della luce dalle tenebre o viceversa il cadere di ombre su zone illuminate... sono tutte cose che alludono ad una distanza da colmare, ad una possibilità di azione, ad una atmosfera carica di attese e di inquietudini, a qualcosa che potrebbe accadere. Forse qualcosa di tragico.

 

IV – Il senso del tragico

I contrasti in Facchinetti non si sanano. Tesi ed antitesi non trovano sintesi. Lo scontro tra la luce e l’ombra è senza fine e senza risoluzione. Penombra non datur. Le linee orizzontali e quelle verticali non generano diagonali. È di qui che scaturisce la forza di questi quadri. Nelle opere figurative, nei ritratti, lo scontro frontale, l’aporia è tra stasi e movimento, tra spazio e tempo. Tra la presenza fisica incombente della figura, del volto, e la sua instabilità, la sua evanescenza, il suo essere  

  transeunte. Il dissidio insanabile è tra l’essere e il divenire, se la vogliamo mettere sul filosofico. Tra il condensarsi della materia e il suo espandersi, esplodere sino alla dissoluzione. Ma la materia in questione è il colore nero impresso da un timbro sulla tela, con un gesto apparentemente impersonale. La materia è il nero, l’ombra. Facchinetti disegna volti e teschi con timbri d’ombra. Il marchio è quello dell’Ombra. E allora non appare affatto casuale, né solo un vezzo letterario, l’apparire del tema classicissimo della vanitas: il teschio.

Nei quadri astratti degli ultimi due anni il conflitto invece è triplice: tra linee orizzontali e linee verticali, tra luce ed ombra, e tra segno morbido, “flou”, e graffio stridente. Le scisse e le ordinate non si incontrano. Le forze spingono in direzioni ortogonalmente opposte senza incontrarsi, senza fondersi. I graffi orizzontali si sovrappongono o più spesso giustappongono a quelli verticali, generando tensioni. La luce è il risultato di raschiature sulla superficie metallica coperta dal colore; mentre l’ombra affiora, morbida e sfumata, quasi evanescente, oppure incombe a larghe strisce dai contorni indefiniti. L’ombra è un panno morbido che avvolge. La luce un graffio che fa male. Ma tra le due presenze il contrasto è insanabile. Sì, sono due presenze, poiché l’ombra in Facchinetti non è assenza di luce, ma presenza immanente, imprescindibile, incombente. Forse, addirittura, è la luce ad essere assenza di ombra, mancanza, negazione.

Non che tutto questo non ci fosse anche prima. Solo che adesso il rigore estremo di queste opere mette a nudo brutalmente gli schemi, e al tempo stesso li rende anche più prepotentemente efficaci.

E come possiamo chiamare il conflitto irrisolto tra luce ed ombra, tra essere e divenire, tra carezza e graffio, tra orizzontalità e verticalità, se non col nome antico e dimenticato di “tragedia”?

A ciascuno poi, se lo vorrà, la possibilità di cogliere i risvolti metaforici di alcuni di questi poli contrapposti: luce ed ombra, carezza e graffio, orizzontale e verticale...

Virgilio Patarini