Morgan Zangrossi, nato nel ‘74, ha solo da poco deciso di mettere le sue emozioni sulla tela. Il suo mondo di giovane, è stravolto dalla disabilità e dal dolore, che gli negano la possibilità di scegliere la propria strada ma che affinano la sua sensibilità verso le cose belle e l’arte. Lui cresce creando, accostandosi al modellismo dove emerge la sua natura meticolosa e lineare; e sono queste due caratteristiche che esprime in ogni sua opera, strada facendo cambia più volte poetica, studia la luce sul nero, sul bianco e infine sulla ruggine ma lo stile rimane pulito e essenziale, riflesso della sua anima.
Tra le mostre personali ricordiamo: nell’ottobre 2013- “Prigioniero del Tempo”, Circolo Culturale Arti Decorative, Rovigo; nel febbraio 2014- “Ruggine”, Sala Cordella, Adria (RO); nel marzo 2014 - Casting (superato) per la selezione 7 Biennale di Ferrara, Castello Estense (FE); nel marzo\aprile 2014, “Ruggine” Sala “N. Orsatti”, Pontelagoscuro (FE)
Note critiche
Filosofia dell’opera d’arte è il giusto equilibrio tra idea e realizzazione, tra spirito e sua trasposizione nel reale. Morgan Zangrossi realizza un percorso che, affondando le sue radici in una filosofia dell’arte di certo già affrontata dalle maggiori avanguardie novecentiste, tende a superarle, non per snaturarne le origini o i legami con la loro genesi, quanto piuttosto per calarne il contesto nella nostra quotidianità.
L’opera di Zangrossi riesce, così, a trarre il proprio magma originario da una duplice evoluzione: quella costituita dal percorso di ricerca realizzato dalle avanguardie del novecento e fatto di ragionamenti sugli oggetti e sulle loro valenze artistiche, e quella in cui il dato evolutivo viene preso e rielaborato in sede di ricerca, per calarne nel presente gli esiti più filosoficamente importanti.
Morgan Zangrossi fa proprio questo, assumendo come elementi della propria ricerca sull’oggetto lacerti elettronici ormai inerti, componenti informatici in disuso, oggetti da discarica industriale e facendoli in un certo senso rivivere non attraverso il guizzo dell’elettricità ma, piuttosto, con l’associarli ad un supporto pittorico che diviene, così, elemento originario sul quale si ridefinisce il destino dell’oggetto.
Di più, l’artista interviene sull’oggetto con l’elemento pittorico, grazie al quale contribuisce a ricreare attorno a esso un’aura di profondità archeologica; la stessa che ricopre gli oggetti ritrovati dopo secoli. La tecnologia, con la sua rapida evoluzione e dissoluzione sembra prestarsi in modo decisivo ad una ricerca in questa direzione; Morgan Zangrossi l’ha percepito ed è riuscito nel migliore dei modi a renderlo nelle sue opere. La filosofia dell’arte compie, così, il suo giro di boa, per indirizzarci, come spettatori, in un viaggio nel tempo tecnologico che è chiara trasposizione delle nostre singole esistenze.
Michele Govoni
Affascinano le opere di Morgan Zangrossi per la loro attualità; trasmettono peraltro, non solo bellezza e pulizia, che è raro, ma anche la robusta presenza di un simbolismo di maniera che subito rapisce e coinvolge. Per non dimenticare inoltre la ricchezza dei particolari e la correttezza cromatica del manufatto, anche se - a volte - potrebbe sembrare monocorde e rituale, il che sicuramente non è. Poi si notano evidenti, non solo la pazienza nel creare ma anche la poesia nel pensare, ed infine la dolcezza nell’accostare alla stessa opera la propria tensione interiore, e quanto per di più sottende.
Sì, è vero, sullo sfondo, c’è tutta la modernità dell’oggi tumultuoso e veloce dove invece noi tutti avremmo tanto bisogno di concrete pause per una seria riflessione interiore quanto personalissima. Ecco, allora che Zangrossi ce le offre lui stesso, queste riflessioni, con tutta la sua disarmante poeticità. Ovviamente in silenzio, con grandi pause meditative perché pudico dei suoi sentimenti, quelli che albergano negli animi più nobili e sensibili.
Seppur in sordina si avverte la disperazione della solitudine cui siamo costretti dalle macchine, ma c’è anche – e prepotente – un soffuso inno alla vita, al moderno vivere che ci avvolge nel quotidiano. Musica dunque che non allontana, anzi rapisce e silenziosamente coinvolge.
Vecchi e sfruttati computer, rielaborati con tutte le varianti dei loro complementi funzionali, già vita di ieri, già utensili sul desco del lavoro, già mezzi pratici e veloci del nostro innovativo comunicare ed interagire, sono portati a nuova vita, ad una vita, però artistica, immortale e partecipata, che non si dissolve ma che offre spunti per ricordi ed interiorizzazioni personali, sempre cangianti come i tumulti dell’animo e le gioie della speranza di ogni uomo che sia innamorato cantore della vita e dei sentimenti che ci vengono quotidianamente offerti.
Come ultimo eremita, unico spirito pulsante in un’isola che non c’è, Zangrossi è capace di fare vivere e rivivere, di una luce tutta propria e su piani sfalsati, anche queste “cose” che il vecchio raccattaferri potrebbe portar via con sé e che, dopo aver svuotato lo stesso strumento elettronico dei sogni che racchiude, quelli che ognuno di noi ha provato accostandosi a questa macchina, ce li ritorna in veste nuova, quella interiormente poetica dove ognuno è arbitro del proprio sentire e della propria cultura.
Ascoltiamo dunque quest’artista, timido ma capace, anche volenteroso, ma soprattutto voglioso d’entrare nel dibattito culturale della sua terra, stretta com’è tra Adige e Po, i due più grandi fiumi d’Italia; assetato d’entrare nel variegato mondo dell’arte dove ad ognuno è permesso di proporre il proprio io creatore nella rielaborazione fantastica dell’intimo soggettivo sentire. Zangrossi vuol far parlare si sé, vuole incontrare in un cenacolo di voci e pensieri anche gli altri, poeti ed artisti come lui. Abbiamo tanto bisogno di sognatori, di gente capace di offrirci, in grazioso dono, il loro percorso di vita e di speranza, con ottimismo, dove ognuno però, è solo con se stesso. Scrigno che può diventare ricchezza di tutti. Poi quest’artista sa creare un lirismo che, seppur partito da lontano, struggentemente avvolge un presente che è subito già passato prossimo, in una veloce corsa contro il tempo che ci rapisce e diventa sogno ad occhi aperti. Invero la ruggine che, come novella neve, l’artista fa cadere sulle opere, adagiandola nel suo prato culturale, ci insegna, con forza e decoro, quasi urlandolo, della caducità di noi tutti, delle nostre aspettative, di voler ottenere sempre tutto e subito. E Zangrossi, ribadiamolo pure con determinazione, nel suo fa arte, ci mette amore, poesia e musica: nuove muse di una dimensione senza tempo e senza spazio. Non mi par poco. Anzi.
Ettore Paolo Forzati Arcioni