ZAMENHOF ART

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SEDI ESPOSITIVE PERMANENTI:

Vi.P. Gallery

Valcamonica

Virgilio Patarini

Arte Contemporanea

via Nazionale, 35,

25050 Niardo (BS)  

Aperta  venerdì, sabato e domenica h16,30-19,30 (salvo eventi o mostre particolari) Altri giorni e orari su appuntamento. Ingresso Libero. 

Cell. 3392939712; 

E-mail: galleria.zamenhof@gmail.com

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Galleria ItinerArte - Vi.P. Gallery Venezia

Rio Terà della Carità -1046 Dorsoduro  - VENEZIA

(dal 1 settembre 2021)

Per orari apertura vedi spazio dedicato. Ingresso Libero. Cell. 3392939712; E-mail: galleria.zamenhof@gmail.com

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Museo di Nadro - Area 42 - Riserva Naturale Incisioni Rupestri di Ceto, Cimbergo e Paspardp (BS)

DAL 6 SETTEMBRE 2021 in collaborazione con ArchExperience

Spazi espositivi a Nadro (Ceto) in via Piana 29 e in via Piana 42-

Aperto tutti i giorni dalle 9 alle 16 (orario invernale: fino alle 17 in estate) - dal 20 dicembre al 20 febbraio: tutti i giorni dalle 10 alle 14- sabato e domenica fino alle 16

tel 0364 433465

Vi.P. Gallery

Milano  Virgilio Patarini

Arte Contemporanea

Alzaia Naviglio Grande, 4  MILANO

CHIUSA DAL 1 SETTEMBRE 2021 Cell. 3392939712; E-mail: galleria.zamenhof@gmail.com

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IL NET-WORK

GALLERIE E SPAZI con cui ZAMENHOF ART e VI.P. GALLERY collaborano stabilmente

MUEF Art Gallery

via Angelo Poliziano, 78b - ROMA

Direzione artistica: Francesco Giulio Farachi, in collaborazione con Roberta Sole

E inoltre:

Museo CaMus di Breno (BS) 

Museo Le Fudine di Malegno (BS) 

Torre Medievale di Cividate Camuno (BS)

e altre realtà in Valcamonica

(vedi pagina dedicata alla Biennale della Valcamonica)

ZAMENHOF ART in 3 punti e poche parole

 

1. Dal 1998 ad oggi Zamenhof Art ha organizzato oltre 400 mostre a Milano, Roma, Napoli, Torino, Venezia,  Ferrara, Piacenza, Lecce e in tutta Italia e realizzato circa 150 cataloghi d'arte, una decina dei quali con l'Editoriale Giorgio Mondadori.

2. Gli spazi gestiti in permanenza, dal 1998 ad oggi, a Milano, sono stati : la Basilica di S. Celso (1999-2002), l'Atelier Chagall (2003-2013), la Galleria Mirò (2005/2006), la Galleria Zamenhof (2008-2013), lo Spazio E (dal 2013). A Torino: la Galleria20 (2013/2014). A Ferrara, 2015-2016 la Camel Home Gallery. 

3. Tra gli spazi più prestigiosi che hanno ospitato mostre e progetti Zamenhof Art, nel corso degli anni, ricordiamo: Castel dell'Ovo a Napoli (2016), Palazzo Racchetta a Ferrara (2010-2015), Palazzo Zenobio a Venezia (2012), Castello di Carlo V a Lecce (2010, 2011, 2012), Castello Estense di Ferrara (2010), Pinacoteca Civica e Palazzina Liberty di Imperia (2009), Castello Malaspina di Massa (2010), Palazzo Guidobono a Tortona (2012)

 

Pur avendo talvolta (raramente) realizzato mostre o cataloghi di artisti storici o storicizzati (come ad esempio Mario Schifano o Riccardo Licata), l'attività di Zamenhof Art è rivolta principalmente alla promozione di artisti giovani o comunque emergenti, out-siders, selezionati sulla base della qualità e dell'originalità, senza nessuna indulgenza a fenomeni di moda, a ragioni di censo o a clientelismi: artisti che siano capaci di coniugare perizia di esecuzione tecnica e freschezza di idee, tradizione e avanguardia, radici culturali e originalità.

 

UN'IDEA DI ARTE CONTEMPORANEA CHIAMATA "ZAMENHOF ART"

 

" Il tempo delle Avanguardie è finito. Si è aperto con l’Impressionismo e si è chiuso con la Transavanguardia. Per oltre un secolo ogni nuova generazione di artisti ha cercato di smarcarsi dalla generazione precedente proponendo una nuova, differente idea di arte contemporanea. Ora tutto questo sembra non funzionare più. Il meccanismo pare inceppato. A partire dal discorso generazionale.

Il progetto espositivo ed editoriale che da anni risponde al nome di “Zamenhof Art” mette in luce proprio ciò, presentando, di volta in volta, in contesti diversi e con diversi abbinamenti e articolazioni, una nuova ‘generazione’ di artisti che anzichè inseguire il nuovo a tutti i costi, rinnegando il lascito delle generazioni precedenti, cerca piuttosto di definire un linguaggio comune per l’arte contemporanea, una sorta di “koinè”, facendo tesoro delle ‘invenzioni’ delle Avanguardie, attraverso un paziente, complesso, raffinato processo di sintesi e contaminazioni.

E una prova lampante che un certo ‘meccanismo’ sia saltato balena agli occhi di tutti se si sofferma l’attenzione, senza pregiudizi ideologici, su di un fatto concreto, tangibile, facilmente riscontrabile: da molti anni ormai si è annullato un qualsiasi significativo ‘scarto generazionale’. Non a caso nel selezionare opere e artisti per questo progetto che in definitiva mira a definire al meglio che cosa si intenda per ‘Post-Avanguardia’ si è dovuto sempre necessariamente prescindere da vincoli generazionali. 

Per la prima volta, da oltre un secolo a questa parte, artisti di tre generazioni differenti stanno uno accanto all’altro e parlano (più o meno) la stessa lingua. E ad ascoltarla con attenzione ci suona come una lingua nuova e antica allo stesso tempo: inaudita eppure riconoscibile. Originale ma decifrabile". (V.P.)

Alfredo Colombo

NOTA BIOGRAFICA

Alfredo Colombo è nato a Cisano Bergamasco nel 1940 e risiede a Caprino Bergamasco (BG). Con lavori di piccolo formato collabora alle preziose edizioni Pulcino Elefante dell’editore poeta Alberto Casiraghi. I suoi frammenti accompagnano spesso poesie di Alda Merini. Dal 1973 espone le sue opere in oltre centoventi tra mostre personali e collettive, è presente in rassegne d'Arte nazionali e internazionali. E’ stato invitato nel progetto itinerante 13x17, a cura di Philippe Daverio e Jean Blanchaert, che è stato presentato tra il 2006 e 2007 presso la Chiesa di Santa Cristina a Bologna, Studio Mic di Roma, Berengo Studio di Murano (VE), Teatro Nuovo Montevergini a Palermo, Museo Michetti di Francavilla al Mare (CH), Museo Provinciale di Potenza, Politecnico di Milano e Chiesa di San Severo al Pendino di Napoli.

 

Mostre Personali:

2012 - Piccolo Formato - Casa Ghisleni - Caprino Bergamasco (BG)- Nero Spalla della Luce - Calisto Cafè - Vailate (CR); 2010 - Gabbie - Biblioteca Centro Culturale Nembro - Nembro (BG); 2009 - Vento della Memoria - Museo della Valcavallina - Casazza (BG); - Basilica di Santa Maria Maggiore – Bergamo; 2008 - Oratorio dei Disciplini - Clusone (BG); 2007 - Galerie Wijland – Kaksijde – Belgio; 2006 - Castello Visconteo - Trezzo sull’Adda (MI); - Galleria Arte C. – San Massimo (VR); 2005 - Museo Civico di Chiusa - Chiusa (BZ); - Spazio Arte D.S. – Osnago (LC); 2004 - Quadreria di Malgrate, patrocinio Comune di Malgrate - Malgrate (LC); - Cascina Ca’ de Volp – Cisano Bergamasco (BG); 2003 - Spazio espositivo Cenacolo – Chiavenna (SO); 2001 - Spazio Santabarbara – Milano; 2000 - Spini Arte - Robbiate (LC); 1998 - Arsmedia Galleria - Bergamo ; - Chiostro Minore S.Agostino, patrocinio Comune di Bergamo – Bergamo; 1997 - Chiostro Minore - Lavello (LC); 1996 - Parco Montecchio - Alzano Lombardo (BG); - Circolo Artistico e Culturale - Ortisei (BZ); - Villa Sirtoli - Olginate - (LC); - Palazzo Cattaneo - Caprino Bergamasco (BG); 1995 - Comune di Brivio - Brivio (CO); 1994 - Comune di Vigo di Fassa - Vigo di Fassa (TR);  - Centro Culturale D.Bepo Gervasoni - Osio Sotto (BG); - San Pellegrino Terme (BG); 1993 - Palazzo Prinetti - Merate - (CO); 1988 - Galleria Portnoy – Milano; - Galleria Arteuropa – Bergamo; 1984 - Galleria Visconti – Lecco; 1983 - Centro Culturale - Villa D’adda (BG); 1982 - Centro Culturale Paul Klee - San Pellegrino T. (BG); 1981 - Galleria Visconti - Lecco

 

Mostre Collettive:

2012 - In Gioco - Castello di Lierna - Lierna (LC) - CalistoCompie 92/12 - Calisto Cafè - Vailate (CR); 2011 - Naturalmente si sdoppia - Comune di Albino varie sedi - Albino (BG); - 150 anni dell’Unità d’Italia - Centro Culturale Biblioteca - Nembro (BG); 2010 - Differenze – Artisti in Convento - Convento della Ripa - Desenzano di Albino (BG); 2009 - Poetiche e Tematiche delle raccolte del Museo - Museo Parisi Valle - Maccagno (VA); 2008 - Prassie - Oratorio dei Disciplini - Clusone (BG); 2007 - Cento idee contro la fame da les cultures - Galleria Melesi – Lecco; 2006 - La guerra è finita? - Palazzo Arese - Osnago (LC); 2005 - Disegni nei quaderni di Orfeo di Roberto Dossi - Università di Toronto – Canada;2005 - Disegni nei libri dell’Editore Pulcino Elefante di Alberto Casiraghi - New York – USA ; 2004 - Spini Arte - Robbiate (LC) ; - Spazio Balini – Bergamo; - Arte Fiera – Vicenza; 2003 - Spazio espositivo comunale - Cisano Bergamasco (BG);  - Museo Civico Ernesto e Teresa della Torre - Treviglio (BG); - Arte Fiera – Vicenza; - Galleria Arsmedia – Bergamo; - Istituto M.G. Bertacchi – Lecco; -Contemporanea - Expo Arte – Forlì; - Spazio Claudio Lombardi – Milano; - Arte Fiera - Montichiari (BS); - Centro Culturale - Fara Gera D’adda (BG); - Galerie Wijland - “Een Italiaanse Zomer” - Koksijde – Belgio; 2002 - Spazio ex Boglietti – Biella; - Nuovo Spazio Santabarbara – Milano; - Galleria La Nassa - “Ceramica nell’Arte” – Lecco - Rassegna d’Arte Sacra - “Pulchra Ecclesia” – Brescia; - Centre d’Art du Puyguerin - Monts sur Guesnes – Francia; - Gallerie Espression Libre - “Tre italiani” - Parigi – Francia; 2001 - Biblioteca Comunale - Bienno (BS); - Contemporanea - Expo Arte – Forlì; - Arte Fiera - Montichiari (BS); 2000 - Galleria Arsmedia – Bergamo; - Centro Culturale “G. Testori” - Vertova (BG); - Arte Sacra - Santuario Lavello (LC) - Contemporanea - Expo Arte – Forlì; 1999 - Centro San Bartolomeo – Bergamo - Palazzo Prinetti - Merate (LC); 1998 - Villa Subaglio - Merate (LC); - Biblioteca Trivulziana - Castello Sforzesco – Milano; 1997 - Centro Culturale - Brembilla (BG); - Sala espositiva “Matteo Legler” - Ponte San Pietro (BG); 1996 - Galleria La Nassa – Lecco; - Palazzo Comunale - Imbersago (LC); - La Rocchetta - Airuno (LC)       - Sala Civica - Brivio (LC); - Torre Viscontea – Lecco; 1995 - Sala Consigliare - Porlezza (CO); - Chiesa di Val Malenco – Sondrio; - Sala comunale - Tremezzo (CO); 1994 - Galleria Bovara – Lecco; - Rapallo - Bardolino (VR); 1991 - Premio Contea - Bormio (SO); 1990 - Galleria dell’Orologio - Conventino – Bergamo; 1989 - Expo Art - Gent (Bruxelles) – Belgio; 1982 - Centro Culturale - Villa D’adda (BG)- Chiesa Piccola - Cisano Bergamasco (BG); 1980 - Centro Culturale Capricorno – Bergamo; 1974 - GalleriArte - Sarnico (BG); 1973 - Sala del Giuramento - Pontida (BG)

 

Premi

2002 - 1° premio città di Lecco (ex equo) – Lecco; 2000 - BeverArte - 1° premio; 1998 - Premiato - premio “Emilio Gola” Olgiate Molgora (LC); 1997 - Premio acquisto “Premio Mori” – Lecco;  - Premiato - Santhià (VC); - Premio acquisto - Beverate (LC); 1996 - 1° premio “Itinerari Manzoniani” – Lecco; 1995 - 1° premio “Premio Donato Frisia” Parco Adda Nord; 1976 - Premiato - Centro Arte Promozione Europea – Milano; 1975 - Premiato - Varenna (CO); - 1° premio - Pontida (BG) - Premiato - Associazione Culturale Pontogliese – Brescia; 1974 - 1° premio - Varenna (CO); - Premiato - Associazione Culturale - Cavenago Brianza (MI); - Premiato - Associazione Culturale Pontogliese – Brescia; 1973 - Premiato - Olgiate Comasco (CO); - Segnalato - Caravaggio (BG)

 

NOTE CRITICHE

LA TERRA LEGA AGLI ALTRI

Gli intensi lavori in terracotta che Alfredo Colombo presenta in quest'occasione, e che sono stati sobriamente distribuiti tra il primo e il secondo piano dell'Oratorio dei Disciplini, sono l'esito ultimo di un percorso ormai decennale, nel quale, pur partendo dalla pittura, si è manifestata ben presto l'esigenza, quasi la necessità, di affrontare il problema della terza dimensione e dello spazio. Alle soluzioni in bilico sul confine sottile tra pittura e scultura sperimentate nel corso degli anni Novanta, si sostituiscono ora l'ineludibile presenza spaziale delle opere in mostra, quella dei globi e delle sfere, dei totem e delle gabbie, a segnare con la loro sostanza tridimensionale e seppur nella continuità di una predilezione per materiali “naturali” (prima il legno, oggi l'argilla appunto), un piccolo, ma significativo, punto di svolta nel percorso dell'artista. Proprio come il tempo che trascorre a ritmi diversi, entro due processi dinamici, le terrecotte di Alfredo Colombo s'innalzano come domande verticali, divengono strutture scultoree, testimoni dell'accumulo e della dispersione nel nostro periodo storico. L'ascensione tubolare è presenza totemica, costellata di segni e di incisioni con allusioni pittoriche o rimandi figurativi - corpi crocefissi, parole o scarabocchi - immagini sospese, però, nella sottrazione e mimetizzate nella forma dell'insieme di terracotta. Nelle gabbie, invece, i globi di terracotta - potrebbero rimandare a un popolo di teschi (ricordi di fatti storici terribili, eccidi) che segna lo spazio in una prigione geometrica - testimoniano una paura profonda, un timore tenuto sotto controllo costante, a una certa distanza, tra le sbarre della consapevolezza di essere contraddittori. Le sculture, qui intese come simboli esse stesse della violenza dell'immaginazione, agiscono come un trasmettitore, per toccare lo spazio mentale dello spettatore: sono mezzi per trovare una visione oltre il funzionalismo senza anima e oltre il razionalismo senza immaginazione.

Paolo Plebani e Mauro Zanchi

  

MATERIA ED ESPRESSIONE NELLA RICERCA di ALFREDO COLOMBO

A metà strada tra il totem, una rinnovata mitologia dell’oggetto, una cosalità che rinvia a pulsioni animistiche di natura istintuale, e il sedimentarsi dell’iconografia in forme che vengono direttamente dalla vita, prelievo di un frammento che ha il sapore della storia, da disporre o porre in dialogo all’interno della propria, o con cui rapportare la personale e individuale emozione, l’opera di Alfredo Colombo (Cisano Bergamasco 1940) sembra voler raccogliere una molteciplità di eredità - anche colte, alte - che tutto il secolo ha disseminato (e forse dissipato) nel suo tumultuoso processo di affrancamento dell’oggetto artistico, nei confronti della letteratura, della sociologia, di quella propensione al racconto, che pare interna, originaria e connaturata, alla stessa azione di porre segni su una roccia, una pietra, un supporto qualsiasi, anche la nuda terra. Facile dunque richiamare dada e informel, l’uno per l’uso dell’oggetto, per il prelievo del frammento di vita, portatore di storia, occasione, da ri-collocare nell’opera, l’altro per la valorizzazione dell’emozione che viene direttamente dalla materia della pittura e dalla materia in quanto tale; altrettanto facile, tuttavia, e necessario, distinguere le diverse prospettive, quelle di Colombo caratterizzate da un processo espressivo che con puntualità Marina Pizziolo ha recentemente definito come “voglia di scrittura”, quasi voglia di parola, dopo tanto silenzio (1997). Colombo parte dalla pittura, in forme vagamente, larvatamente, iconografiche, nelle quali spesso i termini espressivi del pigmento si coniugano con la scelta del supporto, con il sedimentarsi di differenti tracce, come se, da subito, la sola pittura risultasse povera, poco significativa, incapace di dare conto della complessità del reale. In quelle grandi stesure iconiche, che segnano l’ingresso di Colombo nel mondo dell’arte - ingresso caratterizzato da una provenienza altra, costituita dal mondo del lavoro, dalla fabbrica in senso vero, non letterario -, l’immagine del pittore bergamasco sembra collocarsi su un piano duplice, tra la naiveté espressiva e il bisogno di ritornare alla primitività semplificata del fare. Sarebbe tuttavia limitante restringere l’impatto espressivo di Colombo ai soli termini indicati: se ci si chiede il “perché?” di tale scelta, se si indaga circa la provenienza di tali linee di condotta/ricerca artistica, ci si rende conto, allargando appena lo sguardo a raggera, che la provincia orobica offre più di una tensione in quella direzione espressiva che emerge dalle opere di Colombo: un universo linguistico ampio, attraversato dalla aspirazione verso una parola ancora legata all’iconografia e tuttavia straripante e debordante, che riemerge attraverso la materia e la valorizzazione linguistica dei supporti, dimensionati per forme e con termini propri. L’opera di Colombo non è dunque un evento isolato, ma ha matrici specifiche nella sua terra di riferimento (visivo e genericamente culturale), ampliabili, nell’uso dei materiali lignei che presto compaiono come supporto ineliminabile, sostrato espressivo della sua immagine, soluzioni linguistiche specifiche di numerose esperienze. Quando dunque, alla fine degli anni ottanta/inizio anni novanta, compaiono i primi segni maturi di Colombo, dopo un avvio d’apprendistato consueto e marginale, bruciato con rapidità, vi è ormai un ancoraggio ad un retroterra considerevole, da osservare; e in tale retroterra si collocano le prime determinazioni espressive del pittore bergamasco. Colombo si muove con residuali riferimenti alla iconografia, da cui verrà nel giro di pochi anni affrancandosi. Il facile appoggio, ma vincolante scelta espressiva, dell’icona, ancora presente nelle iniziali “materiche” della prima metà degli anni novanta (“Fossile”, 1992, per esempio), viene rapidamente superato. Così la maturazione stilistica del pittore può tutto sommato racchiudersi all’interno di un breve arco di tempo, quasi che Colombo, per accelerare il suo processo espressivo, accesosi tardi, manifestasse il desiderio di chiudere, in ambiti ristretti, tutti i percorsi formativi della sua ricerca: l’apprendistato viene a consumarsi rapidamente nel corso del decennio ottanta. Un’immagine come Ricordi di Roma (1992) presuppone a monte un travaglio espressivo e un insieme di conoscenze che poco si attaglia al pittore “fai da te”; alle spalle di Colombo non c’è solo quel clima, di cui si è detto, ma la conoscenza di eventi precisi del nostro secolo, dalla “scuola romana” alla metafisica, c’è accettazione dell’informel, molla segreta di ogni sviluppo materico, quello stesso che si diffonde in Europa e nel mondo attraverso Fautrier prima - ma forse anche attraverso Dubuffet e gli artisti Cobra, nel nostro caso - ma c’è soprattutto la conoscenza di eventi recenti, la comprensione di quella svolta che in Italia fu detta transavanguardia: la dimensione narrativa decade, anche nel persistere dell’iconografia, sotto l’urgenza della materia dipinta, che assume la memoria linguista (automatica) come chiave di trascrizione delle verità profonde dell’animo, neo-primitive. E il fatto stesso che Colombo prediliga l’uso di limitate cromie, nelle quali dominante è il nero-grigio, appare come una riprova di una scelta linguistica basilare. Tale percorso nell’iconografia e nella materia giunge ad un punto di svolta alla metà del decennio, quando il pittore dà inizio alle Dissolvenze, opere attraverso cui non solo consuma i suoi residui contenuti iconografici, ma soprattutto sperimenta le potenzialità espressive della materia picta: grandi scheletri fossili (si veda la Dissolvenza del 1998, per esempio) tendono a scomparire inghiottiti dal buio, o emergono alla luce materica di bianchi illividiti, macerati e corposamente tattili, quasi che la pittura cerchi da sola la tridimensionalità. L’uso del fossile, come oggetto della narrazione, e della duplice scansione del bianco-nero, appare come il segnale di una ricerca che vuole scardinare l’ordine della narrazione e della pittura, per il recupero della parola autoreferenziale. E il processo di dissolvimento della raffigurazione evocativa, quasi metafora del processo del pittore bergamasco, trova forse una sua verità espressiva nel Senza titolo del 1995, quando la struttura dell’opera, ormai astratta, viene tutta risolta nei pigmenti del bianco variamente dislocati sul supporto annerito; Colombo cerca nella profondità della superfice la risposta ai suoi bisogni espressivi. Superato il puro prelievo dell’epidermide rugosa della realtà, rimane il manufatto con le sue evidenze segniche e l’invadenza del segno nero, che sembra tutto trasferire sul piano dell’espressività. Già verificato nell’Oggetto edilizio del 1994, l’uso dei supporti lignei ritrovati e recuperati con una loro specificità e una loro storia, favorisce la liberazione del segno, che si fa portatore di più interiori tensioni espressive: la Pittura su tavole da armatura, del 1997, con il serrato dialogo tra i segni propri del supporto e quelli sovrapposti dal pittore, con il coraggio del solo nero, può diventare l’emblema del nuovo percorso pittorico di Colombo. Tale evoluzione diviene volano per altre modificazioni: il contatto costante con questi materiali, cercati nei cantieri edili abbandonati e nei magazzini (non solo per l’edilizia) trascurati - quasi magazzini di memoria, più che di lavoro -, viene a spostare i termini complessi dell’operazione. Il mondo del lavoro che mezzo secolo prima, nella stagione del “realismo esistenziale” milanese, era un luogo da descrivere per evocare una condizione individuale, civile, politica e soggettiva ad un tempo, diviene con le sue forme e i suoi soggetti il sostrato materiale di una diversa operazione culturale, che non definisce una situazione umana, ma si appropria dei significati espressivi del materiale stesso, per trascrivere gli equilibri sognati del mondo. L’uso di questi materiali, come si accennava, sposta tutti i termini della questione. E Colombo, come già dimostrato nel recente passato (mostra nei chiostri di Sant’Agostino, Bergamo alta, 1998), attraverso le sue opere invade lo spazio fisico, l’ambiente espositivo, esce dalla parete, per trasformare l’opera in una installazione, compimento di fatto di un processo, condotto con rapidità, nel volgere breve degli anni novanta, con una accelerazione formidabile nel secondo lustro. Quando non abbandona la parete, l’oggetto pittorico, compositivo, rimane luogo primario, ma non esclusivo, della sua riflessione. L’ultima attività artistica di Colombo pare dunque compendiarsi in tre differenti momenti espressivi, complementari e autonomi, con quel modello duplice che abbiamo visto, dall’inizio, essere carattere specifico dell’opera dell’artista: da una parte la installazione, intesa come attività che produce oggetti estetici da collocare e variamente adattare ai vari ambienti; dall’altra la installazione a parete, formata da un insieme di piccole opere, ognuna delle quali dotata di una propria, peculiare, autonomia espressiva, con una visione amplificata dall’insieme; dall’altra infine l’opera, il singolo pezzo, come retaggio dell’iniziale attività pittorica, pur se realizzata ormai in forme e con materiali che quasi del tutto escludono il ritorno alla figurazione e alla tradizione della pittura. La ricerca di Colombo è rappresentata dalla creazione di oggetti, opere da parete, in senso stretto, o oggetti plastici tridimensionali, che tendono a sottolineare un costante “modello instabile” (in una certa misura, si tratta di una trascrizione di equilibri sognati): è venuto meno l’uso del tradizionale pigmento. L’assemblaggio di corpi tratti dal materiale di scarto dell’edilizia vive sul colore nero (e il nero catrame) e sul contrasto con bianco-giallo delle corde, che collegano i differenti frammenti. Sono qua e là fa la sua comparsa il rosso, come memoria di una pittura che si è ormai superata. Le opere dell’artista bergamasco traducono quella tensione, quella misura, intese come valore etico; l’installazione sembra trascrivere nello spazio un equilibrio, da valorizzare e scardinare ad un tempo. Chi osservi le fotografie della mostra tenuta in Sant’Agostino due anni orsono, si rende facilmente conto del gioco creato con gli oggetti disseminati nello spazio (il chiostro): là dove la tradizione ha creato un luogo chiuso, un ritmo esteriore a tradurre una misura interiore, Colombo interviene con i suoi oggetti, costruiti con le doghe di antiche botti sfasciate, e legate insieme da pesanti corde, così da costruire un corpo a fuso, che rinserra paglia. I materiali lignei, le doghe di botti sfasciate, diventano innaturali gavitelli, colorati con il nero, il nero del catrame e della pece, appesi alle pareti e nello spazio cortivo del chiostro, creando geometrie nello spazio. È quello che abbiamo volutamente definito un equilibrio sempre sottolineato e sempre rotto, sempre ribadito e sempre stravolto. Metafora forse della vita, con le sue pulsioni e i suoi sogni, le sue tensioni e i suoi approdi. L’installazione trascrive una disposizione dell’animo. Che si rinnova di continuo in quella diversa, più lineare, ma non meno eloquente, costituita dall’insieme sulla parete di numerose, piccole opere: autonomi nel loro proporsi, i singoli pezzi forse trovano la loro più alta verità espressiva attraverso l’accostamento, che costituisce ancora la trascrizione emotiva di una geografia dello spazio, una geometria della mente, una scansione lirica dei movimenti del cuore. È la concretezza che vivifica l’opera. Quella stessa che si manifesta nella creazione del singolo pezzo, e si traduce nella parete, che sembra trascrivere un processo lento di crescita (quasi una biografia per frantumi e trasposizioni), attraverso la riappropriazione culturale dei materiali utilizzati. L’installazione a parete reinventa lo spazio e toglie all’oggetto la sua fragilità. Come se Colombo volesse sottolineare la duplice dimensione di rapidità nel consumo, di rapida obsolescenza dell’oggetto stesso, e di una differente persistenza nella memoria di ogni singolo oggetto umano. Non interessato alle forme di natura, Colombo cerca quelle tracce, quei residui che sanno di lavoro e di umano pensiero, quei segni con cui un’epoca trascrive se stessa e la nostra presenza nella mente degli uomini: non importa, annotava Steinbeck, se a noi resta, come al ragazzo di periferia, da scrivere solo una parolaccia su un muro, o se a qualcuno tocchi il compito di incidere la propria effige nella mente di milioni di uomini. Nell’opera come nelle vicende umane, si concretizza attraverso il segno scritto e depositato il senso più alto del nostro esistere. Con poche annotazioni sull’opera singola, vogliamo concludere questa riflessione sul lavoro artistico di Colombo. L’opera, il singolo pezzo, assume in se stesso una diversa e più ampia gamma di valori espressivi: normalmente trascrive e traduce il bisogno di accostamento di materiali diversi, il senso del prelievo, il rapporto con il mondo (specie quello del lavoro: ma non necessariamente). Le piccole tavole formate da parti differenti, dipinte, manipolate, collegate insieme da nodi e tessiture, vanno anch’esse alla ricerca di un equilibrio creato per frammenti posti a contrasto. Dall’unione di piccole parti, che le corde collegano e all’interno delle quali l’artista lascia che si sedimenti la propria traccia attraverso il colore, viene una misura, che è metafora alta dell’esistere, richiamo alla concretezza. Non un gioco dotto, di citazioni e rimandi, quanto piuttosto l’ubbidire ad una tensione comunicativa: così che l’opera, nella sua forma irregolare, manifesta il bisogno di rottura e quello di ritorno all’ordine, costituendo ad un tempo una delle chiavi essenziali della vicenda artistica, del secolo che abbiamo appena chiuso. I richiami alla poetica dadaista, con il dichiarato prelievo, e a quella informale, con il ricorso costante all’emozione della materia, costituiscono l’essenza stessa della dimensione espressiva dell’artista bergamasco. Tale vicenda poetica subisce un’ulteriore accelerazione quando Colombo affronta la ceramica: il materiale di prelievo di necessità risulta ridotto, spesso “mimato” attraverso grumi, o contenuto nell’ambito di frantumi grezzi, da collocare come cammei nella forma. In realtà la ceramica costituisce la riscoperta del colore, attraverso l’uso di cromie che accentuano il carattere artificiale dell’oggetto. La tensione che nelle opere lignee l’artista realizza attraverso il contrasto tra le forme e tra le cromie, nella ceramica si manifesta con il pigmento, che definisce in termini essenziali l’immagine (sempre informale) realizzata. La ceramica costituisce per Colombo una memoria che rinvia alla storia del secolo, alle forme dell’universo contadino, da cui proveniamo, o a quelle del mondo del lavoro nell’epoca delle sue iniziali esperienze industriali, quando gli attrezzi sono ancora profondamente radicati alla produttività contadina e al modello artigianale. Anche in questo caso, a ben guardare, tutta la scelta di Colombo è giocata sui ritmi formali; l’immagine è di solito un’opera da parete, caratterizzata da una voluta bidimensionalità, che crea e rompe costantemente la misura formale delle cose, quasi che compito dell’arte sia quello di saggiare l’instabilità. Si diceva, in apertura, che Colombo cerca la parola, manifesta una “voglia di scrittura”. In questa tensione espressiva, l’artista recupera gli alfabeti cosali, gli alfabeti registrati sugli oggetti, utilizzati per l’immediatezza del gesto, già segnati dalle vicende d’uso e pertanto disponibili al dialogo. Per dire di noi, di questa precarietà che il misurato equilibrio esprime, per parlare, sotto la scorza apparente robusta della forma rinserrata, della nostra fragilità.

Mauro Corradini

 

TERRE E OMBRE

In occasione del giorno di Ognissanti e della ricorrenza dei Morti, la Fondazione MIA inaugura una mostra di Alfredo Colombo nei suggestivi e inediti spazi espositivi della Basilica Santa Maria Maggiore di Bergamo, ovvero nel primo matroneo e nel sottotetto del grande argano. Si apre così un ciclo di eventi legati all’arte contemporanea, visto che la MIA, dal XII al XIX secolo, ha sempre commissionato opere agli artisti più significativi. Il titolo è “Terre e ombre”, per suggerire contemporaneamente sia le corrispondenze che si innescano tra l’arte e la vita sia il legame misterioso che ogni persona instaura con il popolo dei defunti che abita la terra e la memoria. L’artista ha stabilito un rapporto di significati utilizzando solo materie povere: argilla, ferro e legno di recupero. Le sculture di terracotta sono fondate su un principio di essenzialità. La terracotta è per Colombo una materia poetica, che risponde con un senso di possibilità aperto a tutte le trasformazioni: la terra è concepita come sostanza arcaica dell’immaginario, con un vasto patrimonio simbolico, in grado di generare continuamente forme e significati. Il suo utilizzo sancisce anche l’intento di ritornare a un rapporto di armonia tra cultura e natura. Alcune sculture sono domande verticali, totem costellati di segni e di incisioni con allusioni sia figurative sia evocative. Divengono simboli di forze primigenie: canneti, antenne, ricettori. Si caricano di rimandi a presenze ancestrali, a miti legati alla terra: segnalano presenze di flussi e di energie, moti ascensionali. Tra il fruitore e la vastità dell’oggetto si dinamizza un’ondata di rimandi, sensazioni enigmatiche, non comprensibili fino in fondo, emozioni. Lo spettatore, percependo il messaggio dell’opera, è chiamato in causa per rispondere con un’altra emozione: in questo moto una scintilla dell’apprendimento entra in contatto dialettico con la provocazione contenuta nell’opera. Tra le opere della mostra vi sono anche gabbie di legno e ferro che imprigionano globi di terracotta – qui rimandano sia a teschi (ricordi di eccidi) sia a palle forate di cannone sia a semi che non hanno dato frutti incontrando la forza generatrice della terra - segnando lo spazio in forma di prigione geometrica. Le sculture, qui intese come simboli esse stesse della violenza dell’immaginazione, agiscono come trasmettitori, per toccare lo spazio mentale dello spettatore. Le opere alimentano ricordi del presente e memorie della coscienza collettiva.

Mauro Zanchi